I lavori di manutenzione straordinaria dell’edificio condominiale devono essere pagati dal soggetto che era proprietario dell’appartamento al momento in cui i lavori vennero deliberati; pertanto, in caso di compravendita di un appartamento condominiale posteriore a detta deliberazione, se i lavori vengano eseguiti e pagati dopo la stipula del contratto di compravendita, se ne deve far carico il venditore. È quanto deciso dalla Cassazione nell’ordinanza n. 11199 del 28 aprile 2021.
La decisione
Secondo la Cassazione, quando dal condominio sia decisa l’esecuzione di lavori consistenti in innovazioni, straordinaria manutenzione o ristrutturazione delle parti comuni dell’edificio e, dopo la delibera assembleare condominiale che abbia disposto l’esecuzione di tali interventi, sia venduta un’unità immobiliare, i costi di detti lavori gravano su chi era proprietario al momento dell’approvazione della delibera, anche se poi le opere siano state, in tutto o in parte, realizzate in epoca successiva alla stipula del contratto di compravendita. Ne consegue che l’acquirente ha diritto di rivalersi nei confronti del proprio venditore, se il condominio abbia preteso il pagamento di dette spese dal compratore, in forza della norma (l’articolo 63, comma 4, delle disposizioni di attuazione del Codice civile) secondo la quale «chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato solidalmente con questo al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso e a quello precedente». Resta fermo che è pur sempre possibile, nel contratto di compravendita, pattuire che i costi dei lavori decisi prima del contratto di compravendita siano a carico della parte acquirente; ma si tratta di una pattuizione che è rilevante solamente nei rapporti interni tra venditore e acquirente e che non è opponibile al condominio (nel senso che l’amministratore del condominio, in forza della solidarietà passiva tra il precedente e l’attuale condomino, affermata nel predetto articolo 63, può escutere indifferentemente l’uno o l’altro).
Ipotesi distinte
Occorre pertanto tenere distinte, da un lato, le spese necessarie alla manutenzione ordinaria, alla conservazione, al godimento delle parti comuni dell’edificio o alla prestazione di servizi nell’interesse comune oppure a impedire o riparare un deterioramento delle parti comuni dell’edificio; e, dall’altro lato, le spese attinenti a lavori che consistano in un’innovazione o che comunque comportino, per la loro particolarità e consistenza, un onere rilevante, superiore a quello inerente alla manutenzione ordinaria dell’edificio e cagionate da un evento non evitabile mediante la quotidiana opera di preservazione delle parti comuni dell’edificio. Nella prima ipotesi, l’obbligazione si ritiene sorta non appena si effettui l’intervento ritenuto necessario dall’amministratore e, quindi, in coincidenza con il concreto compimento dell’attività gestionale. Nel caso, invece, delle opere di manutenzione straordinaria e delle innovazioni, la deliberazione dell’assemblea, chiamata a determinare quantità, qualità e costi dell’intervento, assume valore costitutivo della relativa obbligazione in capo a ciascun condomino.
Le conseguenze
Da ciò si fa derivare che, verificandosi l’alienazione di una unità immobiliare posta nel condominio dopo l’adozione di una delibera assembleare con la quale sia decisa l’esecuzione di lavori consistenti in innovazioni, straordinaria manutenzione o ristrutturazione, qualora non sia diversamente convenuto nei rapporti interni tra venditore e compratore, i relativi costi devono essere sopportati dal venditore, anche se poi i lavori siano stati, in tutto o in parte, effettuati in epoca successiva al rogito. Con conseguente diritto dell’acquirente che sia escusso dal condominio a rivalersi nei confronti del proprio dante causa. (Fonte: Angelo Busani, Il Sole24 ORE, Estratto da “Norme&Tributi Plus Diritto” 5 luglio 2021).
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