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Il requisito dell’agibilità nel contratto di compravendita immobiliare.

Disposizioni normative - Differenza tra abitabilità ed agibilità.

Nel settore urbanistico dal 2009 al 2016, in Italia si sono succedute ben 133 riforme, di cui 77 sul Testo Unico per l’Edilizia - D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 – entrato in vigore il 30 giugno del 2003 che costituisce ormai l’unico riferimento normativo in materia, in quanto ha abrogato tutta la disciplina previgente. Fino al 2001 e prima dell’entrata in vigore del Testo Unico dell’Edilizia, il certificato di abitabilità ed il certificato di agibilità erano due documenti differenti. L’abitabilità era collegata ai requisiti dell’immobile relativamente alla destinazione d’uso dello stesso; l’agibilità era invece collegata alla stabilità e alla sicurezza dell’immobile. Con il D.P.R. 380/2001 i due termini possono essere usati indifferentemente essendo stato soppresso il dualismo vigente nella precedente normativa. Il legislatore ha poi escluso dalla previsione della richiesta del certificato di agibilità, i vecchi edifici che dalla data di entrata in vigore della riforma non abbiano subito nessuno degli interventi indicati nelle lettere b) e c) del 2° comma dell’art. 24. A partire dall’entrata in vigore del T.U. sull’edilizia, il certificato di agibilità deve essere richiesto dal venditore e consegnato all’acquirente necessariamente solo per i nuovi edifici (ossia quelli costruiti successivamente al 30/06/2003) o per quelli già esistenti per i quali siano stati eseguiti talune tipologie di interventi edilizi. Non sussiste invece nessun obbligo di richiedere e consegnare il certificato di agibilità per le vecchie costruzioni che non siano state oggetto di interventi successivamente all’entrata in vigore del DPR 380/2001, laddove esso non sia già rinvenibile, in quanto trattasi di costruzioni molto risalenti, o perchè già rilasciato, ma in base a previgenti normative. La nuova Segnalazione Certificata di Agibilità Il D. Lgs. 222/2016 ha poi sostituito al certificato di agibilità “La Segnalazione Certificata di Agibilità “ che ha la funzione di attestare la sussistenza dei requisiti minimi di “sicurezza, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati”. L’odierna normativa prevede che l’agibilità dell’immobile non sia più certificata dal Comune, a seguito della presentazione da parte dell’interessato di tutta la documentazione a tal fine necessaria, ma che la stessa venga certificata dal professionista abilitato, previo recupero ed accertamento di tutti i documenti attestanti le condizioni di sicurezza, salubrità e conformità rispetto la normativa vigente. La segnalazione in oggetto deve essere presentata all’ufficio comunale competente entro 15 giorni dalla comunicazione di fine lavori; il Comune ha 30 giorni di tempo per richiedere ulteriori documenti o precisazioni, dopodiché l’immobile è regolarmente abitabile. La mancata presentazione della segnalazione di agibilità entro detto termine comporta l’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria. La certificazione, tuttavia, non garantisce la sussistenza effettiva dell’agibilità dell’immobile per cui viene richiesta, come confermato dall’art. 26 del D.P.R. 380/2001: “La presentazione della segnalazione di certificata agibilità non impedisce l’esercizio del potere di dichiarazione di inagibilità di un edificio o di parte di esso ai sensi dell’art. 222 del Regio Decreto 27 luglio 1934 n. 1265”. Regolarità urbanistico-edilizia ed abitabilità/agibilità di un immobile L’abitabilità/agibilità dell’immobile non è collegabile con la sua regolarità urbanistico-edilizia ma determina la cd. “abitabilità legale dell’immobile”. Il certificato di agibilità non è dunque collegabile con il titolo abilitativo. (cfr. Consiglio di Stato, sentenza n. 4309/2014). Il legislatore infatti prescrive, a pena di nullità, la menzione nell’atto di alienazione del titolo abilitativo in virtù del quale l’immobile oggetto di contratto è stato edificato - ai sensi dell’art. 46 del D.P.R. 380/2001 -, ma, al contrario, non richiede alcuna menzione della documentazione attestante la regolare abitabilità/agibilità di detto immobile. Il rilascio del certificato che attesta l’agibilità determina infatti solo una presunzione iuris tantum di conformità urbanistico-edilizia dell’edificio – in quanto fondata su una dichiarazione di parte e non su di un procedimento che attesti l’effettiva conformità – ma non sana in alcun modo eventuali abusi edilizi commessi sull’immobile. L’atto di vendita privo del certificato di agibilità/abitabilità è quindi perfettamente valido infatti, in sede di stipulazione del contratto di compravendita di un immobile sprovvisto dell’agibilità, le parti possono espressamente convenire di trasferire il bene a prescindere dall’esistenza di tale presupposto. Nessuna norma regola quindi le conseguenze della mancanza del certificato di agibilità al momento della stipula dell’atto notarile, anche se la giurisprudenza recente, prevede la consegna del certificato di agibilità un’obbligazione del venditore ai sensi dell’art. 1477 c.c. Non vi è nessuna legge che contempla un obbligo di preventivo rilascio e consegna del certificato di agibilità per ogni tipo di costruzione eseguita in tempi precedenti alla legge citata, anzi appare chiaro che la legge 380/2001 esclude addirittura il rilascio del certificato di agibilità da parte delle Amministrazioni comunali qualora si tratti di vecchie costruzioni per le quali non siano stati compiuti interventi edilizi dopo l’entrata in vigore della legge citata. Assenza di agibilità: incommerciabilità economica o giuridica? L’assenza dell’agibilità incide pertanto sul corretto adempimento degli obblighi scaturenti dal contratto di vendita, ma non sulla validità del contratto stesso, salvo che l’assenza di agibilità comporti l’assoluta impossibilità giuridica di godimento del bene. Il difetto di agibilità non potrà quindi essere sanata dalla conformità urbanistica, e viceversa. Tuttavia l’agibilità, pur non incidendo sulla “commerciabilità giuridica” del bene, ne costituisce il presupposto per la sua utilizzabilità e quindi incide sulla “commerciabilità economica” dello stesso. Quindi in linea generale, per la commerciabilità degli edifici non è necessario che sia stato rilasciato il certificato di agibilità in quanto la sua assenza NON incide sulla commerciabilità giudica del bene, la mancanza di quest’ultimo incide in maniera rilevante sulla commerciabilità “economica” dello stesso. Pertanto se manca l’agibilità, ovvero se mancano le condizioni per poter utilizzare il bene, quest’ultimo è incommerciabile solo dal punto di vista economico. In sintesi, un immobile sprovvisto dell’agibilità non è incommerciabile giuridicamente, subendo esclusivamente un deprezzamento rispetto al valore che avrebbe in caso contrario, considerate sia l’impossibilità di pieno godimento dello stesso che le spese eventualmente necessarie al fine dell’ottenimento dell’agibilità. In sostanza si opera una differenza tra mancanza di abitabilità sostanziale, cioè che non rispetta i requisiti di sicurezza, igiene e salubrità necessari a garantirne l’abitabilità e mancanza di abitabilità formale, e sostanziale quando l’immobile è sprovvisto del certificato di agibilità. Per gli immobili successivi alla Legge 380/2001 bisognerà quindi valutare se un’eventuale mancanza di certificazione è dovuta a una semplice dimenticanza o se è reale. In tal caso può determinare l’annullamento del contratto. Per quanto riguarda gli immobili senza agibilità precedenti alla legge, invece, è compito dell’acquirente valutare l’effettiva agibilità – sostanziale - della struttura prima dell’acquisto a seconda dello stato di fatto dell’immobile atteso che la semplice mancanza della certificazione non può essere motivo di rifiuto dell’acquisto. In tal caso l’acquirente deve valutare autonomamente se l’immobile è adatto o meno alle sue esigenze, e se ha i requisiti necessari per l’utilizzo secondo i suoi scopi. La provenienza ante 1967, ad esempio, o il rilascio di un condono perché l’immobile era totalmente abusivo, spiegano sufficientemente la mancanza della certificazione, sicché l’acquirente, se vuole comprare deve prudentemente informarsi esattamente sulla rispondenza di fatto dell’immobile alle sue esigenze, e prima dell’acquisto. La giurisprudenza Negli ultimi anni la tendenza delle Corti è nel senso di considerare il certificato di agibilità come un requisito giuridico sempre più importante del bene oggetto di compravendita, ma solo in quanto attesterebbe la fruibilità dell’immobile ad un determinato uso. Secondo la giurisprudenza maggioritaria, anche se nessuna norma imperativa contempla un obbligo di preventivo rilascio di detta certificazione, la mancanza della agibilità configura un inadempimento del venditore. Nella sentenza della Cassazione Civile, sez. II, 11 ottobre 2013, n. 23157 si legge che “la consegna del certificato di abitabilità dell’immobile oggetto del contratto, ove questo sia un appartamento da adibire ad abitazione, pur non costituendo di per sé condizione di validità della compravendita, integra un’obbligazione incombente sul venditore ai sensi dell’art. 1477 c.c., attenendo ad un requisito essenziale della cosa venduta, in quanto incidente sulla possibilità di adibire legittimamente la stessa all’uso contrattualmente previsto.”. Con la sentenza n. 24386 del 8 febbraio 2016, la Corte di Cassazione ha precisato che la vendita di un immobile privo di certificato di agibilità, configura una vendita di cosa in parte o del tutto diversa da quella dedotta in contratto. La Corte parte dal presupposto che l’acquirente ha interesse ad ottenere la proprietà di un bene fruibile e commerciabile e, conseguentemente, laddove il venditore non consegna il certificato di agibilità, l’acquirente può rifiutare la stipula del definitivo. Sul punto infatti la Corte ha precisato che: “L’obbligo di consegnare il certificato di agibilità grava ex lege sul venditore, in base all’art. 1477, terzo comma, cod. civ., e a ciò consegue che il rifiuto del promissario acquirente di stipulare la compravendita definitiva di un immobile privo dei certificati di abitabilità o di agibilità e di conformità alla concessione edilizia, pur se il mancato rilascio dipende da inerzia del Comune — nei cui confronti peraltro è obbligato ad attivarsi il promittente venditore - è giustificato, poiché l’acquirente ha interesse ad ottenere la proprietà di un immobile idoneo ad assolvere la funzione economico-sociale e a soddisfare i bisogni che inducono all’acquisto, e cioè la fruibilità e la commerciabilità del bene (ex plurimis, Cass., sez. 2, sentenza n. 15969 del 2000; sentenza n. 16216 del 2008).” Con la conseguenza che pur non costituendo, la consegna del certificato di abitabilità, una condizione di validità della compravendita ma incidendo sulla possibilità di adibire legittimamente la cosa venduta all’uso contrattualmente previsto, “il venditore - costruttore ha l’obbligo di consegnare all’acquirente dell’immobile il certificato, curandone la richiesta e sostenendo le spese necessarie al rilascio, e l’inadempimento di questa obbligazione è ex se foriero di danno emergente…” In sostanza per la giurisprudenza di legittimità il compratore, laddove manchi l’agibilità, potrebbe chiedere legittimamente o la risoluzione del contratto o l’adempimento dello stesso qualora abbia interesse all’acquisto, ferma la possibilità di chiedere il risarcimento dei danni. Così ad esempio se manca l’agibilità per adibire un immobile a casa di abitazione e quindi l’immobile può essere utilizzato solo per altri scopi (ad es.: magazzino) l’acquisto è valido lo stesso, ma l’acquirente ha acquistato una cosa per un altra, con lesione dei suoi diritti. Con la sentenza n. 2294 del 2017, la Cassazione si è nuovamente pronunciata in tema di vendita di un immobile sprovvisto di agibilità. I giudici della S.C. hanno ribadito la necessità di scindere le questioni relative all’agibilità e quelle attinenti alla regolarità urbanistica dello stesso; l’avvenuta presentazione della domanda di condono alla data della stipula non vale infatti a sanare il mancato rilascio dell’oggi soppresso certificato di agibilità, ciò in ragione della necessità della differente funzione dei relativi provvedimenti amministrativi. Nel caso di specie, la parte acquirente rilevava, su un immobile acquistato nel 2002, l’esistenza di una forte umidità da risalita capillare al piano terra dell’immobile compravenduto, tale da impedire il rilascio del relativo certificato di agibilità. In ragione di ciò la parte agiva in giudizio per ottenere dall’alienante una somma pari alle spese derivanti dai lavori necessari al rilascio del suddetto certificato. Ciò anche in considerazione del fatto che nel contratto di compravendita lo stesso venditore si era impegnato ad effettuare ogni pagamento necessario all’ottenimento del relativo certificato. Il convenuto eccepiva quindi la prescrizione dell’azione esperita, risultando tuttavia soccombente in primo grado. La Corte d’Appello confermava la pronuncia del Tribunale, aderendo alla ricostruzione operata dagli attori e dunque ritenendo l’alienante inadempiente, in ragione della mancata dotazione dell’immobile del certificato di agibilità. Si rinveniva nello specifico un’ipotesi di vendita di aliud pro alio - e non di vizio della cosa venduta - stante la mancanza in capo all’immobile di un “requisito giuridico essenziale”, con possibilità in capo ai soggetti lesi di agire entro il termine decennale di prescrizione. La controversia giungeva quindi in Cassazione, la quale rigettava il ricorso dell’alienante, ritenendo i motivi addotti dallo stesso del tutto privi di fondamento. Afferma infatti la Corte di Cassazione che il difetto assoluto della licenza di abitabilità, o la non sussistenza delle condizioni necessarie per ottenerla, integra una ipotesi di consegna di aliud pro alio e aggiunge che: “ il venditore di un immobile destinato ad abitazione ha l’obbligo di consegnare all’acquirente il certificato di abitabilita”, senza il quale l’immobile stesso e’ incommerciabile; e che la violazione di tale obbligo puo’ legittimare sia la domanda di risoluzione del contratto, sia quella di risarcimento del danno, sia l’eccezione di inadempimento, e non e’ sanata dalla mera circostanza che il venditore, al momento della stipula, abbia gia’ presentato una domanda di condono per sanare l’irregolarita’ amministrativa dell’immobile (cfr. Cass. 23.1.2009, n. 1701; cfr. Cass. 20.4.2006, n. 9253, ove si precisa inoltre che e’ irrilevante la concreta utilizzazione dell’immobile ad uso abitativo da parte dei precedenti proprietari)”. La sentenza di cui sopra quindi, rinviene nella mancata consegna del certificato di agibilità un inadempimento integrante vendita di aliud pro alio, a prescindere dal fatto che ciò derivi da una semplice inerzia del venditore o da caratteristiche intrinseche dell’immobile. Il bene oggetto della compravendita risulta in tal caso solo economicamente incommerciabile, non essendo idoneo ad assolvere la sua tipica funzione economico-sociale. Da ciò deriva che non sussistono invece ostacoli giuridici alla sua circolazione. Alla luce dell’orientamento giurisprudenziale di cui sopra, si possono allora distinguere tre ipotesi:

- Inagibilità sostanziale “radicale”. La mancanza dell’agibilità non viene considerata come un semplice vizio dell’immobile di gravità tale da rendere la cosa inidonea all’uso cui è destinata, ma come la consegna di una cosa al posto di un’altra - la c.d. consegna di “aliud pro alio”- in presenza della quale la parte acquirente potrebbe domandare al Giudice la risoluzione del contratto. La sent. n. 2294/2017 afferma infatti che “integra ipotesi di consegna aliud pro alio il difetto assoluto della licenza di abitabilità ovvero l’insussistenza delle condizioni necessarie per ottenerla in dipendenza di insanabili violazioni della legge urbanistica”. Si evince pertanto che in ipotesi di questo tipo è legittima sia la domanda di risoluzione del contratto che quella di risarcimento del danno. L’azione di risoluzione, tuttavia, non può essere esperita quando: la parte acquirente, al momento della stipulazione del contratto di compravendita, era a conoscenza della mancanza dei predetti requisiti; le parti avevano concordemente ed espressamente escluso la garanzia della sussistenza nell’immobile dei requisiti previsti dalla Legge per la sua agibilità.

- Inagibilità sostanziale “sanabile”. Si verifica quando l’immobile sia solo in parte privo dei requisiti di agibilità, ma può conseguirli con interventi edificatori di modico valore oppure, anche in assenza di siffatti interventi, la porzione dell’immobile colpita da mancanza dei requisiti non giustifichi, la risoluzione per inadempimento. In tali casi, sarà esperibile solamente l’azione edilizia aestimatoria prevista dall’art. 1492 c.c., con conseguente domanda quanti minoris rispetto al prezzo originariamente pattuito, salvo il risarcimento del danno. In tal caso la somma dovuta per riduzione del prezzo può essere determinata dal Giudice secondo il suo prudente apprezzamento e facendo ricorso a criteri equitativi. (Cass. Civ., sent. n. 28622/2019, Cass. Civ., sent. n. 12852/2008).

- Inagibilità formale. Qualora l’immobile dedotto in contratto risultasse esclusivamente sprovvisto della idonea documentazione attestante la regolare agibilità dello stesso, troverebbe applicazione l’art. 1477 c.c. che pone a carico della parte venditrice l’onere di consegnare a parte acquirente i documenti ed i titoli relativi alla proprietà ed all’uso della cosa venduta. La mancanza della agibilità, quindi, può venir in rilievo sotto il profilo dell’inadempimento del venditore, ravvisandosi in capo a quest’ultimo, in detta ipotesi, una responsabilità per alienazione ALIUD PRO ALIO, non potendo il bene scambiato assolvere alla funzione economico-sociale che gli è propria.

Termini di prescrizione dell’azione. I vizi della cosa compravenduta devono essere denunciati dall’acquirente al venditore entro 8 giorni dalla scoperta e comunque entro un anno dalla consegna del bene ai sensi dell’ art. 1495 c.c della vendita in generale e ai sensi dell’ art. 1541 c.c. entro un anno dalla consegna del bene nelle vendite immobiliari ( libro IV sez. III ) . La giurisprudenza è pacifica in ordine alla decorrenza del termine di decadenza di 8 giorni che fa decorrere dall’effettiva scoperta del vizio, Intesa come effettiva e piena cognizione del vizio o del difetto del bene da parte dell’acquirente. La giurisprudenza ha avuto orientamenti contrastanti invece in merito agli atti utili all’interruzione del termine di prescrizione di un anno. La rilevanza della questione suggerisce di affrontarne gli aspetti più rilevanti. Un primo indirizzo giurisprudenziale ritiene che la manifestazione stragiudiziale di volontà ex artt. 1219 e 2943 c.c. effettuata al venditore di voler esercitare il diritto di garanzia per i vizi del bene compravenduto, indipendentemente dalla scelta del tipo di tutela ( riduzione del prezzo o risoluzione del contratto), sarebbe di per se atto idoneo ad interrompere il decorso della prescrizione ( in senso conforme Cass. 9630/99 – 18035/10 – 22903/15). Altro indirizzo ritiene invece che Ia decorrenza dei termini di prescrizione vengono interrotti esclusivamente dalla domanda giudiziale, di tale avviso le sentenze della S.C. n 20332/07 – 20705/17. Sul delicato punto è intervenuta il Supremo Consesso a S.U. con la sentenza n 18673/2019 La Corte nella sentenza in esame fa dapprima un’analisi della disciplina relativa alla garanzia dell’acquirente in ordine ai vizi della cosa compra-venduta. L’esame degli artt. 1492 e 1490 c.c. che prevedono che nei casi in cui il bene sia affetto da vizi tali che ne rendano la cosa venduta inidonea all’uso a cui è destinata, o ne diminuisce in modo apprezzabile il valore, il compratore può esercitare l’azione redibitoria chiedendo la risoluzione del contratto o a sua scelta, l’azione estimatoria, chiedendone la diminuzione del prezzo, la scelta tra le due forme può essere esercitata sino al momento della proposizione della domanda giudiziale. Resta fermo il diritto al risarcimento del danno ex art. 1494 c.c. La giurisprudenza ha previsto un ulteriore caso, al fine di svincolare l’acquirente dai limiti imposti dall’art. 1495 c.c. quando i vizi del bene sono molto gravi o vi è una diversità qualitativa tra la cosa pattuita e quella consegnata, elaborando la figura dell’aliud pro alio datum, (una cosa per un’altra) in questi casi quando i vizi sono talmente rilevanti da considerare il bene totalmente inidoneo allo scopo pattuito, i rimedi previsti per l’acquirente sono quelli dell’azione di risoluzione del contratto e dell’esatto adempimento con termini prescrizionale ordinario. Nell’esaminare quali siano gli atti utili all’interruzione della prescrizione, la Corte nella sentenza in esame detta il seguente principio di diritto “nel contratto di compravendita costituiscono ai sensi dell’art. 2943 c.c. comma 4 idonei atti interrutivi alla prescrizione dell’azione di garanzia per vizi, prevista dall’art. 1495 cc. Comma 3, le manifestazioni extragiudiziali di volontà del compratore compiute nelle forme di cui all’art. 1219 c.c. comma 1 con la produzione dell’effetto generale contemplato dall’art. 2945 c.c. comma 1” Stabilendo quindi che la manifestazione di volontà formalmente manifestata dall’acquirente con atto scritto inviato al venditore di voler far valere la garanzia per i vizi del bene sono atti idonei a far interrompere il termine di prescrizione, che quindi ricomincia a decorrere dall’atto interruttivo. (Fonte: di Pina Scialanca, Maria Livia Ferrazza, Michela Orefice, Il Sole24 ORE, Estratto da “Norme & Tributi Plus Diritto”).

 

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