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Un titolo edilizio qualsiasi salva la vendita della casa abusiva.

Compravendite più facili in caso di edifici abusivi: la Cassazione a Sezioni unite (sentenza 8230/2019) ha sancito che la commerciabilità di un edificio è compromessa solo se si tratti di un manufatto costruito in completa assenza di un titolo edilizio, (…). Invece, se un titolo edilizio sia stato rilasciato (e se ne faccia menzione nel contratto), la compravendita è valida anche se la costruzione è stata realizzata difformemente rispetto al titolo edilizio. Una decisione che riscrive le regole per il “fornitissimo” mercato degli immobili irregolari, secondo le ultime stime 19,4 ogni 100 autorizzati (…).

La sentenza è assai importante in quanto è stata emanata, oltre che per decidere il caso concreto, per comporre un vivace contrasto di opinioni in materia verificatosi in Cassazione. Più precisamente: - un primo orientamento (decisioni 8685/1999, 8147/2000, 5068/2001, 5898/2004, 7534/2004, 27129/2006, 20714/2012, 16876/2013 e 25357/2014) che adotta la tesi della «nullità formale»: la compravendita è valida solo che il titolo edilizio esista, anche se l’edificio sia stato realizzato con variazioni essenziali; - un più recente orientamento (decisioni 20258/2009, 23591/2013, 28194/2013, 25811/2014 e 18261/2015) ha adottato la tesi della «nullità sostanziale»: la compravendita è nulla non solo se l’edificio sia costruito in assenza o in totale difformità da un titolo edilizio, ma anche se sia stato fatto con variazioni essenziali rispetto al titolo. La sentenza 8230/2019 smentisce quest’ultima interpretazione, in quanto il principio di diritto che d’ora innanzi deve informare questa materia è che in presenza di una dichiarazione del venditore sugli estremi di un titolo edilizio effettivamente esistente, il contratto «è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato». Nell’ambito del suo ragionamento, la Cassazione dà grande evidenza alla considerazione che le conclusioni cui la sentenza giunge non devono essere lette come un abbassamento della guardia rispetto all’abusivismo edilizio, in quanto:

a) le norme che sanciscono la nullità del contratto di compravendita di un immobile abusivo vanno riferite alle ipotesi più gravi (l’assenza di un titolo edilizio e, probabilmente, anche la realizzazione in totale difformità dal titolo edilizio) e non possono essere riferite anche a situazioni di abuso “minore” in quanto si determinerebbe una grandissima incertezza nei casi concreti, ove si dovrebbero difficoltosamente distinguere gli abusi più rilevanti (le variazioni essenziali) dagli abusi di minore entità;

b) il sistema in generale trova tutela nelle sanzioni che la legge appresta per i casi di abuso (demolizione, ripristino della situazione anteriore all’abuso, sanzioni pecuniarie) e nel fatto che esse non solo hanno natura “reale” (si applicano, cioè, a chiunque sia proprietario dell’edificio nel momento in cui l’abuso sia accertato) ma anche sono irrogabili senza limiti temporali: non c’è sanatoria nè estinzione del potere di comminarle;

c) la tutela dell’acquirente di un edificio abusivo è assicurata dai rimedi del Codice civile (risoluzione del contratto, riduzione del prezzo, risarcimento del danno) per chi compra beni i quali presentino vizi o che non abbiano le qualità promesse o essenziali per il loro uso.

Se la sentenza è chiara sul fatto di discriminare gli abusi commessi in completa assenza di titolo edilizio dagli abusi consistenti in «variazioni essenziali» (ad esempio: un sottotetto reso abitabile), non è ben chiaro invece in quale delle due ipotesi rientri l’abuso consistente in un manufatto realizzato in totale difformità rispetto al titolo edilizio: si pensi al rilascio di un permesso di costruire che abiliti la realizzazione di quattro autorimesse a piano terra e alla successiva costruzione invece di una abitazione. Probabilmente, dato che la sentenza ha inteso liberare la contrattazione dalle incertezze che potrebbero derivare dalla qualificazione di un abuso in termini di variazioni essenziali rispetto alle difformità non essenziali, invece il caso della «totale difformità» dovrebbe essere individuabile con facilità. Se questo ragionamento è plausibile, allora anche se nel contratto di compravendita sia menzionato l’avvenuto rilascio di un titolo edilizio, l’avvenuta realizzazione di un intervento edilizio in totale difformità dovrebbe comprometterne la commerciabilità.

Casi concreti in Cassazione e Consiglio di Stato Difformità totale -Integrano difformità totale, e come tali sono completamente abusive, le opere “spostate” in modo significativo (nel caso di specie tra i nove e i 28 metri), rispetto al progetto approvato (Cassazione pen. 49669/2015). È ritenuta difformità totale l’aumento di cubatura data da un’altezza all’intradosso trave per plurimi lotti, pari rispettivamente circa ml 5,90 rispetto ai ml 4,85 di progetto; di ml 5,90 rispetto ai ml 5,65 di progetto; di circa 5,60 rispetto ai ml 4,85 di progetto (Cassazione pen. 1734/2014) Difformità essenziale - La ricostruzione del solaio di copertura di rilevante consistenza (circa 32 mq), rientra nelle variazioni essenziali: è un aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio da valutare in relazione al progetto (Cassazione pen. 30194/2017) - Il cambio di destinazione della copertura dell’edificio assentito, con incremento della cubatura, la creazione di quattro abitazioni e rilevante aumento di superficie del complesso, con modifiche alla sagoma è stato ritenuto indifferentemente una variazione totale nonché essenziale (Tar Campania 138/2016) Difformità non essenziale - La documentata diminuzione dell’impatto urbanistico rispetto al progetto originario, deve qualificarsi come variante non essenziale (Consiglio di Stato, 823/2015). - È difformità non essenziale l’intervento che consiste nella realizzazione di solaio laterocementizio inclinato posto a copertura di vuoto tecnico che risulta avere un’altezza media interna pari a ml 2,50 in luogo delle opere autorizzate consistenti nell’esecuzione di solaio piano con altezza interna pari a ml 2,00 (Consiglio di Stato 3676/2013). (Fonte; di Angelo Busani, Il Sole 24ORE – Estratto da “Norme & Tributi”, 1 aprile 2019).

 

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